martedì 16 aprile 2013

Pritzer Prize 2013 a Toyo Ito

Il Pritzker Architecture Prize 2013, sotto forma di un medaglione di bronzo che riporta disegni di Louis Sullivan e una citazione dei tre principi vitruviani, verrà consegnato a Toyo Ito il prossimo 29 maggio, nel corso di una cerimonia al "John F. Kennedy Presidential Library and Museum" di Boston La decisione della giuria di assegnare l’edizione 2013 del Pritzker al celebre architetto, classe 1941, nato a Seoul ma giapponese di adozione, è una dimostrazione di indipendenza e apertura. Pochi lavori cruciali e un approccio rigoroso, lontano dalla mondanità, sono stati sufficienti a Toyo Ito per creare un proprio linguaggio architettonico influente.
"L'architettura è legata da diversi vincoli sociali. Ho sempre progettato tenendo a mente che fosse possibile realizzare spazi più confortevoli, se siamo liberi dai vincoli. In ogni caso, quando un edificio è completato, divento terribilmente consapevole della mia inadeguatezza che si trasforma in energia per affrontare la sfida del progetto successivo” spiega Toyo Ito “Probabilmente questo processo continuerà a ripetersi nel futuro. Quindi non potrò mai definire il mio stile architettonico e non sarò mai soddisfatto dei miei lavori.”





"Durante la sua carriera Toyo Ito è stato capace di produrre una serie di lavori che combinano innovazione concettuale e la superba esecuzione dei lavori. Creando eccezionali architetture per più di 40 anni, ha realizzato con successo librerie, case, parchi, teatri, showroom, uffici e padiglioni, ogni volta cercando di estendere le possibilità dell'architettura. Un talento professionale unico,dedicandosi al processo di scoperta che permette di scoprire le opportunità che risiedono in ogni incarico ed in ogni luogo”, così la giuria descrive il lavoro dell'architetto giapponese.



Tra i suoi progetti più prestigiosi si ricordano la Mediateca a Sendai (Giappone), completata nel 2001, la Municipal Funeral Hall a Gifu e il Serpentine Pavillion di Londra, commissionata all'architetto nel 2002.







sabato 14 luglio 2012

finalmente vray

Finalmente! Dopo aver rincorso più volte l'idea di affrontare un corso serio di Vray c'è lo fatta. Ho avuto la fortuna di frequentare il primo workshop ufficiale Vray. Cos'è Vray? 

Vray è un plug-in, prodotto dalla ormai celebre Chaosgroup, orientato al rendering ed alla generazione della Global illumination. Per chi non avesse mai sentito parlare di Global illumination essa riguarda, in breve, il calcolo della luce diffusa. Fino a qualche anno fa le immagini che venivano generate tramite rendering erano tutte frutto esclusivamente di luce diretta, in alcuni casi la luce diffusa veniva simulata disseminando di piccole luci nella scena: era la famosa Fakeosity. Oggi i processori hanno una potenza di calcolo la quale permette di ottenere scene di maggiore qualità proprio utilizzando algoritmi che comprendono il calcolo della Global Illumination. Ciò che ha reso celebre vray è la sua capacità di offrire un altissimo rapporto tempo/qualità dovuto ai suoi algoritmi di approssimazione (Biased method) davvero efficienti. ( http://www.grafica3dblog.it/vray_download_vray.htm )


Chi è Ciro Sannino? L'istruttore del corso è il giovane Ciro Sannino, figura sempre più di spicco nel panorama della rappresentazione fotorealistica e grande appassionato di fotografia. La sua tecnica di insegnamento parte dalle fondamenta della tecnica fotografica e mira al ragionamento su quello che è l'obiettivo finale che si vuole ottenere. Tutto ciò offre una chiave di lettura importante grazie alla quale si riesce a riordinare le idee concentrandosi sugli aspetti importanti della composizione e rappresentazione fotorealistica, scartando il superfluo. Interpreta gli aspetti chiave del programma è offre 5 step di lavoro che permettono un risultato sicuro.  Di seguito allego il render di un interno realizzato dal sottoscritto durante il corso.



sabato 28 aprile 2012

museo casa enzo ferrari

Difficilmente è possibile non trovarsi d'accordo con le cose che Deyan Sudjic riporta nel suo articolo riguardante il Museo Casa Enzo Ferrari (MEF), specialmente se lo si visita di persona. 
Il progetto è frutto del lavoro di Jan Kaplicky dei Future System, uno studio che ha sempre lavorato mettendo in discussione il concetto tradizionale di spazio e proponendo progetti visionari. In questo caso la scomparsa improvvisa di Kaplicky ha imposto che il suo collaboratore Andrea Morgante portasse a compimento il progetto, rendendo esecutive le idee chiave sviluppate in precedenza. L'idea della copertura nasce prendendo in prestito un sistema di rivestimento in alluminio estruso, utilizzato dagli austriaci per gli scafi delle imbarcazioni, mentre i tre lucernari richiamano chiaramente le prese che sulle automobili portano aria al radiatore. il colore predominante è il giallo modena, lo stesso con cui è rappresentato il cavallino della Ferrari. Il rapporto tra edificio esistente, antica casa di Enzo Ferrari e il museo, sono risolti egregiamente.  La nuova struttura incassata per un  piano nel terreno, si rende discreta nel rapporto dei volumi. La parte vetrata, che funge da filtro tra interno ed esterno, oltre ad abbracciare il vecchio edificio, con le sue riflessioni e trasparenze crea un doppio rapporto dentro-fuori e fuori-dentro. Il primo si esplica tramite un gioco di riflessioni che richiamano da ogni posizione la casa di Enzo Ferrari, il secondo si esplica incorniciando la facciata del vecchio edificio quasi fosse una cartolina o un quadro da diversi punti di vista.
Anche strutturalmente l'edificio è interessante. Tre travi reticolari principali ad arco disposte lungo la sezione trasversale e due pilastri ad Y in facciata costituiscono l'ossatura portante. La spinta della struttura è stata eliminata tramite una serie di tiranti inseriti a livello della platea, utilizzando contrafforti come struttura per il momento di trasporto.
































martedì 17 aprile 2012

Mauro Corona: sono un cialtrone ma... Gli esempi di imbecillità sono un cimitero costato due milioni di lire vuoto e case senza canne fumarie. Un architetto di città non può fare l’architetto di montagna, e il legno tagliato con la luna giusta dura più del cemento

Mi sembra giusto, anzi doveroso,  riportare un'intervista che ho letto sul giornale dell'architettura, a Mauro Corona, un montanaro-scrittore che con i suoi modi rudi porta avanti il suo punto di vista riguardo alla realtà che ci sta travolgendo. Ci potranno essere persone d'accordo o meno su ciò che dice, ma tutti saranno d'accordo sul fatto che questi argomenti fanno riflettere.


Boscaiolo, cavatore, cacciatore, alpinista, scultore, scrittore. Schivo, scontroso,  magnetico, ruvido come le 300 vie di roccia che ha aperto sulle Dolomiti. Mauro Corona si racconta così: «Vengo dagli escrementi della vita, non sono collega di nessuno. Non è che mi reputi uno scrittore; mi aiuto a campare con storie, sculture, scalate. Mi sono messo a scrivere per non spararmi, per non cadere nel baratro. Ho fatto un excursus nella gloria, ora sto per ritirarmi. Non sono un profeta, sono un cialtrone, ma a 62 anni qualcosa la conosco». Erto, paese dov’è nato e vive, è il centro di gravità permanente della sua avventura e anche della nostra conversazione. Nell’ul­timo romanzo La ballata della donna ertana (Mondadori), c’è l’arrivo in paese dei forestieri per costruire una diga, portando finalmente un po’ di be­­nesse­re. Quella diga diventerà una bomba d’acqua distruttiva.
Il Vajont. «Dopo il Vajont hanno tutti fatto finta di essere stati scalzati via come Inca o Aztechi. Non è vero. Io sono stato l’unico ad andare controcorrente. C’era miseria; quando arrivarono per proporre la diga a manovali e artigiani tutti accettarono. Non ci rubarono la terra, gliela demmo noi. Furono accolti da salvatori e la popolazione era servile nei loro confronti, come l’uomo povero fa sempre con i potenti. Abbiamo visto un miraggio, poi abbiamo pagato».

Oggi si continua a discutere del rapporto tra grandi opere e tutela del paesaggio. Qual è la lezione del Vajont?
Il benessere va visto non nel periodo dei cantieri, ma dopo. Ogni territorio richiede interventi consoni. Qui conta l’architettura. Un esempio d’imbecillità cosmica: a Erto, che significa ripido e scosceso, hanno fatto un campo da tennis ora pieno di erbacce e abbandonato. E il cimitero costato due miliardi di lire? Non c’è un morto dentro; la gente vuole andare nel cimitero vecchio. In compenso servirebbe una scuola d’arte e artigianato. Un bel portafrutta di vimini sarà meglio di uno di plastica, no? Io ho attrezzato una palestra di roccia che è famosa in tutto il mondo, vengono dall’America. Senza contributi pubblici, nel 1976.

Manca la cultura del territorio?
Il problema è che cosa ci metti sul territorio: le case, la gente. Venite a vedere Erto nuova, fatta nel 1978, non secoli fa. Un’infamia, una bestemmia turpe di cemento in un paesino dove c’era un equilibrio di prati, alberi e bosco, e tutto degradava dolcemente. Non era il prato che finiva di colpo, sfacciatamente. Si davano il passo pian pianino: prato, cespuglio, albero... Dopo il Vajont potevamo fare delle casettine come in Tirolo, metà di pietra e metà di legno, dove la gente potesse stare bene. La gente ha perso la naturalità, tu li cacci in una cosa che non respira con loro. Un soffocamento di cemento, sbagliato anche tecnicamente. Non hanno fatto le canne fumarie, per cui se finisce il petrolio o una frana blocca il paese per otto giorni non c’è un camino. Questi sono gli architetti che poi scrivono sulle riviste patinate.

E invece come li vorrebbe questi architetti da riviste patinate che non le piacciono?
L’architetto che è nato in montagna sa cosa collocare in quella bellezza (o in quella bruttezza, perché si può mettere una cosa appropriata anche in un luogo ostile). L’architetto di deserto deve progettare nel deserto, invece sono venuti dalle città a fare città in montagna. Una roba orrenda, la gente ci sta male. E poi non è che puoi buttare giù la casa, una volta che l’hai tirata su: quella rimane ai figli, ai nipoti. Tutti costretti a star male. Io sono arrogante: la missione primaria di un uomo sulla terra è non rompere le scatole al suo prossimo, come accade anche costringendolo a stare in un posto come Erto nuova. Mi viene da pensare che abbiano progettato a caso: la chiesa doveva essere una banca, e quella che doveva essere la banca è la chiesa. Tanto è la stessa cosa, no? Come lucro, sì, se non peggio.

Quindi quello che è accaduto a Erto è una dimostrazione di scarsa attenzione alla tutela del paesaggio?
Ora Erto è più grande, ma a fare i paesi non sono le case, è la gente. Come la natura: il mare, i boschi, se non c’è l’uomo che li guarda che senso hanno? Noi cominciamo a perdere l’idea che vada protetto l’uomo, nonostante faccia di tutto per danneggiarsi, perché c’è un rigurgito di ecologia che va a scapito di chi ne fruisce. Una mela da sola non si può gustare, da sola non è nulla: ci vuole un palato. Proteggere la natura è una missione nobile, anche se oggi lo si fa con retorica e falsità.

La retorica dell’ambiente comprende anche la bioarchitettura?
No. Quest’idea mi piace molto perché si usano materiali che sono in simbiosi con l’uomo, per esempio il legno che era scomparso. Ma lo sa che se tagliato in luna giusta dura più del cemento armato? Basta andare in Tirolo o in Val Badia, sui masi alti di San Martino: lì c’è una miriade di casette di 400 anni, fatte di legno di larice diventato rosso e sgraffiato dalle intemperie. Sono sculture. Qualche giorno ho scalato il monte Putia, scendendo ho visto le casette. Il legno, intatto, ha subito solo l’abbronzatura del tempo. Non lo intacchi nemmeno con la motosega. Se tagliato in lune calanti di novembre, le linfe non lavorano più quindi il legno diventa marmo. Poi la dolcezza, l’accoglienza. Impagabili.

A parte il legno?
Il riscaldamento, costruire con una speciale attenzione al comfort. In Val Badia le case di settecento anni fa hanno tutte le finestre doppie.

Ma per lei come dev’essere la casa ideale?
Io vivo di paradossi, ma possono aiutare a riflettere. La casa ideale è quella in cui stando seduto prendi tutto quel che ti serve: il pane, un libro, la bottiglia di vino... Piccola, accogliente. Una casettina vivibilissima, dove l’uomo torna dopo le intemperie della giornata di lavoro e respira. Ecco, la casa anche se di una sola stanza quando entri ti deve abbracciare. Devi sentire un abbraccio. La casa deve avere una dimensione di bisogno di affetto.

Ne vede molte, così?
Nel 95% delle case sento gelo. Amici miei, famosi medici e avvocati, mi invitano a vedere le loro case e me le mostrano orgogliosi, e io sbigottito: sono tombe con questi enormi marmi da cui devi togliere la polvere. Invece lasciala stare, la polvere! Iosif Brodskij la definiva la tintarella dei secoli. Invece in quelle case in Val Badia pensi: qui sto bene. Non si può mica campare sempre angosciati, bisogna rasserenarsi e la casa può essere un nido. Ma se la fai per esibire la tua ricchezza, la tua spocchia... Ti invitano a vedere il loro nulla. Io difficilmente ci vado, perché sento l’odore dei fasulli.

Che cosa la indispone di più?
Tanto per cominciare, quando vedo le piastrelle lucide per terra. Mettete del legno, che dura millenni! E poi chi pensa mai a un piano sollevato? Quando entri in una casa non può stare tutto sullo stesso piano. La scultura insegna che il naso non è sullo stesso piano dello zigomo, e l’orecchio è su un altro ancora. Sfalsa i piani, sempre! Il posto in cui leggo deve essere sollevato, e allora mi sento protetto, perché sullo stesso piano l’anima svilisce. E invece il piano sollevato con una coperta ti eleva, ti isola. Ti dà il gusto dello straniamento.

Qual è la qualità principale di un architetto?
Un architetto non deve solo imparare a fare le cose, ma essere sensibile. A volte sono tecnicamente preparati, ma insensibili. Come per la scultura: provate a fare una maternità. Cento scultori la fanno diversa, e lì vedi chi ha più anima, perché è questione di graffio sulla lavagna dell’anima. Quando crei luoghi dove vive la gente, devi immedesimarti e se hai l’anima gelida farai cose gelide. Se non hai calore non puoi produrlo. Non si scappa.

L’architettura contemporanea è anaffettiva?
Innanzitutto gli architetti sono tanti e confusi, poi cercano l’originalità. Diceva Jorge Luis Borges: non essere originale, è meglio essere immortale. Cerca di essere naturale, perché l’originalità presuppone molte vanità. È giusto che un architetto abbia ambizioni, ma senza esagerare. Tutti vogliono essere archistar. Mi ha colpito l’incarico a Mario Botta per la mostra a Belluno di Andrea Brustolon, il Michelangelo del legno, per certi versi il mio maestro anche se vissuto cinque secoli fa. Io non vedo la necessità d’incaricare un architetto per allestire un posto dove esporre scultura. La scultura basta a se stessa. Per fare colpo sulla gente, Botta ha realizzato uno stendibiancheria, ha teso fili bianchi, una cosa orribile. Ma tutti s’inchinavano «perché è Botta». Non devi inchinarti alla fama. E nessuno che dica: tirateli via quei fili bianchi, fatemi vedere le sculture. Ah, ma doveva rappresentare il cielo... Il cielo a fili?

Un esempio di architettura contemporanea che la convince?
Di Botta mi piace il Mart di Rovereto: dove l’uomo non si monta la testa fa cose belle e utili. E il Parco della musica di Roma, con gli «scarabei» di legno. Però mi chiedo: ha considerato Renzo Piano quando tagliarli quei legni? Non poteva considerarlo, altrimenti ci avrebbe messo cent’anni a costruirli. Il legno ha una notte speciale, canta una sola notte. Perché Stradivari, Guarnieri del Gesù o altri liutai famosi hanno fatto violini che suonano in quel modo? Non è la vernice, perché è stata rifatta uguale invano.  Fior di chimici l’anno scrostata, analizzata e riprodotta: cera, resina, essenze. L’han fatta uguale ma non suona uguale. Quel che conta è la notte in cui si taglia il legno, perché solo il 21 maggio dopo mezzanotte sentirai frullare, come una vibrazione. Tutti i boschi della terra dall’Amazzonia a Erto si mettono a vibrare, come se fosse un passaparola. E quello è il momento di tagliare la pianta. Prova a fare una bacchetta da direttore di orchestra quella notte. L’acustica del Parco della musica è buona, ma se avessero tagliato il legno di una capsula il 21 maggio...

E invece com’è la sua casa?Io sono un barbone legale: sono riuscito a rendere allegro un cubo di cemento, una stanza. Legno dappertutto, un tavolo per scrivere fatto da me con tronchi piallati. Niente vernici a rovinare l’odore, l’effluvio di pino cembro che dura duemila anni. Le zaffate di resine dolcissime. Poi scartoffie. Quando sono stufo faccio rientrare il piano e recupero spazio. Niente binari, sarebbe troppo sofisticato: scorre su due tavole. Ogni trent’anni una passatina di sapone. Poi altre panche, una con una lana d’agnello su cui dormo. Sul duro, e non ho mai mal di schiena. Intorno sculture, figure che mi guardano. Duemila libri in librerie scavate da tronchi con figure femminili. Le sculture-librerie sono personaggi come il generale di Cent’anni di solitudine. Otto metri per otto e lì c’è tutto, compresa una stanzetta con una piccola parete di pietra per allenarmi e un piccolo bagno. Stop: il resto ve lo regalo. Ma se vieni in quella mia bottega te ne innamori. Paolo Rumiz si è buttato sulla panca e c’è stato tutta la notte. Non riusciva più ad andarsene. Luce, finestre grandi senza tende, perché voglio vedere la luna che passa. Per una tendina ho mandato in malora un matrimonio, lei mi chiudeva in una catacomba: e fammi vedere la notte! Tubi e termosifoni lungo il muro, non sotto il pavimento: che l’ha detto che sono antiestetici? Libri segnati, la bottiglia di vino, che cosa ti serve di più?

Alberi, case, legno, bosco: tutti elementi di quello che nel suo libro definisce «il mondo storto»?
Alberi ce ne sono anche troppi, ormai. La foresta ha invaso i cortili, non c’è più la cultura del bosco. Non è vero che stiamo disboscando, anzi. L’uomo è andato nelle città e con il lavoro subordinato ha rinunciato alla responsabilità insita nel lavoro della terra. Se monti male un pezzo in fabbrica è un problema del padrone, se sbagli a tagliare un albero è tuo. Il bosco è un’industria, ma se lo maltratti l’anno dopo lo paghi. E poi c’è fatica, la mucca non è una moto che parcheggi. Ma ora con la crisi le fabbriche chiudono e l’uomo deve ripensarsi. Se non hai più soldi, il cibo non puoi andare a comprarlo come prima. E allora devi pensare di produrlo. La naturalità del ritorno alla terra che ipotizzo nel libro è forse un’utopia patetica: se tutto il mondo diventasse imprenditore di terra, la società tornerebbe sana. Un mondo di contadini che si nutrono e poi hanno tempo libero per fare quello che vogliono.

Che cosa può spingere l’uomo verso la sua patetica utopia?
Dalle mie parti sono morti due coniugi che si erano persi in un bosco. Li hanno trovati abbracciati, entrambi con accendini e sigarette. Non sei capace di accendere un fuoco? Se ti perdi di notte in un bosco muori di freddo. Vieni con me che ti insegno ad accendere un fuoco strisciando due legnetti secchi, finché fa la brace e poi ci soffi sopra. Ma devi prendere i legnetti sottobosco, sui pini ci sono barbe sempre asciutte. Anche se diluvia. Poi soffi, soffi, soffi... L’uomo ha perso il contatto con la natura.

Che cosa pensa dell’Expo 2015, intitolata «nutrire il pianeta»?
Nutrire il pianeta? E di che? È già nutrito, ci dà tutto. Occorre invece educare l’uomo a nutrirsi di quello che serve, non del superfluo. Vivere in questo pianeta è come scolpire: devi togliere per vedere la scultura, mentre noi continuiamo ad aggiungere, a coprire. Così non vedi la scultura. Io mangio quando ho fame, allora mi piace tutto.

È anche la disciplina della montagna?
La montagna è selettiva: se non stai in equilibrio rotoli giù. Così nella vita. Quando ci sarà il mondo storto, andremo con i Rolex per scambiarli con un sacco di farina e ci diranno di no. A me serve il grano, non un orologio.

La montagna come sta?
Dove nevica firmato si sta bene. C’è tutto. Ma solo lì. Perché i vip vanno tutti a Cortina e nessuno viene a Erto? Perché là sei un vip, qui no. Perché nessuno scansa il luogo comune? Quando si paga, non esiste freno. Nè leggi, né piani regolatori. L’uomo è fragile e comprabile. Lo dimostro io, che pubblico i libri con Berlusconi perché mi paga il triplo.
di Giuseppe Salvaggiulo, da Il Giornale dell'Architettura numero 100, dicembre 2011




mercoledì 11 aprile 2012

prizker prize 2012. non tutti sanno che...

Non tutti sanno che il Prizker prize, conosciuto e considerato il nobel dell'architettura, è stato fondato a Chicago nel 1979 da Jay A. Pritzker e sua moglie Cindy, proprietari della catena Hyatt Hotels. Il vincitore riceve un premio di $ 100.000, un certificato e dal 1987 una medaglia di Bronzo. Il premio in genere viene consegnato a maggio. Per il 2012 il premio è stato assegnato a Wang Shu della Repubblica popolare cinese. Lo scopo del Pritzker prize e' quello di onorare un architetto vivente le cui opere siano in grado di esprimere un significativo contributo per l'umanità e l'ambiente.
Thomas J. Pritzker, presidente della Fondazione Hyatt, che sponsorizza il premio, ha annunciato il vincitore a Los Angeles, mentre la cerimonia verrà celebrata a Pechino il 25 maggio.
"Il fatto che sia stato scelto dalla giuria un architetto cinese rappresenta un passo significativo nella comprensione del ruolo che la Cina rivestirà nel progresso della riflessione sull'architettura. Nei prossimi decenni, inoltre, il successo cinese nel campo dell'urbanizzazione sarà importante tanto per la Cina quanto per il mondo intero. Questo processo di urbanizzazione, in Cina, come d'altra parte nel resto del mondo, dev'essere in armonia con i bisogni e le culture locali. Queste opportunità senza precedenti di pianificazione e progetto alla scala urbana, in Cina, dovranno tendere quindi a uno sviluppo sostenibile in armonia con una tradizione millenaria e con i bisogni futuri" e il lavoro di Wang Shu si inscrive proprio in questo percorso, a cavallo tra passato e presente.

Proprio questo flusso continuo tra tradizione e contemporaneità, tra passato e presente, è una delle ragioni principali della scelta della giuria. "La questione della costruzione di rapporti virtuosi tra passato e presente—ha spiegato il presidente della Giuria Lord Palumbo—è particolarmente attuale in Cina, dal momento che i recenti processi di urbanizzazione in atto invitano a una riflessione su quanto l'architettura debba essere ancora legata al passato o se debba, invece, rivolgersi esclusivamente al futuro. Così come ogni grande architettura, il lavoro di Wang Shu trascende questa discussione, riuscendo nella produzione di opere senza tempo, profondamente radicate nel contesto e comunque universali".


http://www.pritzkerprize.com/laureates/2012



mercoledì 4 aprile 2012

un ponte abitabile per le biciclette ad Amsterdam

Val Saint-Laurent ha proposto di costruire un nuovo ponte abitabile per Amsterdam. La sua ispirazione per tale progetto deriva dalla città stessa. Anticamente la città era interamente fatta in legno, materiale che venne bandito dopo i terribili incendi del 1421 e 1452. L'architetto con quest'opera intende rendere omaggio al materiale, utilizzandolo per il suo ponte. Il legno in primo luogo è uno dei migliori materiali da vedere a livello estetico; in secondo luogo è un materiale sostenibile, flessibile ed ecologico. A supporto della struttura sono stati utilizzati l'acciaio e l'alluminio in grado di conferire maggiore resistenza. Supporti semplici come bulloni e rivetti sono saldati in modo da corrispondere ad un sistema di rimozione semplice che permetterà qualsiasi tipo di adattamento. Le grandi finestre ben si fondono con il design e permettono di avere una buona visuale dell'esterno. Il gateway sarà facilmente accessibile da tutti e creerà un collegamento interessante tra il vicino museo e i quartieri circostanti per promuovere scambi culturali. 



lunedì 12 marzo 2012

winners 2012 Skyscraper Competition - eVolo

Fondato nel 2006, il Concorso annuale Skyscraper riconosce idee eccellenti che ridefiniscono il design del grattacielo attraverso l'utilizzo di nuove tecnologie, materiali, programmi, estetica e organizzazioni spaziali, insieme a studi sulla globalizzazione, flessibilità, adattabilità, e la rivoluzione digitale. Questo concorso dà modo di condurre anche un'indagine sullo spazio pubblico e privato, sul ruolo dell'individuo e del collettivo nella creazione di una comunità dinamica e verticale. Il premio cerca di scoprire giovani talenti, le cui idee cambieranno il nostro modo di intendere l'architettura e il suo rapporto con gli ambienti naturali e costruiti. Il primo posto è stato assegnato a Zheng Zhi, Hongchuan Zhao e Song Dongbai dalla Cina per il loro progetto "Himalaya Water Tower". La proposta è un grattacielo situato in alto nella catena montuosa dell'Himalaya che immagazzina l'acqua e aiuta a regolare la sua dispersione verso la terra di sotto, come le riserve naturali dei monti si prosciugano. Il grattacielo, che può essere replicato in massa, prevede la raccolta dell'acqua nella stagione delle piogge, la purificazione, il congelamento in ghiaccio e la conservazione per un uso futuro. Il secondo posto è stato assegnato a Yiting Shen, Nanjue Wang, Ji Xia, e Zihan Wang dalla Cina per la loro "Mountain Band-Aid", un progetto che mira a restituire i profughi Hmong, gente di montagna, alle loro case e a lavorare per ripristinare l'ecologia della catena montuosa dello Yunnan. Il destinatario del terzo posto è Lin Yu-Ta da Taiwan, il cui progetto propone una "discarica Verticale" che deve essere collocata nelle grandi città di tutto il mondo, come ricordo della quantità oltraggiosa di rifiuti che produciamo. Questa struttura fungerà allo stesso modo da centrale elettrica che raccoglie energia dalla decomposizione dei rifiuti. Tra le menzioni d'onore sono i progetti per la ricerca subacquea nell'oceano, grattacieli mobili, città galleggianti, temporali e gli edifici che si attaccano alle strutture esistenti. Queste proposte ci offrono una vista emozionante del mondo a venire.


http://www.evolo.us/category/2012/